Cosa si intende con il termine personalità aziendale e perché dovrebbe essere un tema d’interesse? Se nella vostra azienda c’è un problema di bassa fedeltà del personale, allora dovreste riflettere su come la personalità della vostra azienda può effettivamente influire sull’engagement dei dipendenti.
Secondo il nostro recente studio “Azienda del futuro e trasformazione digitale: sfide e opportunità per sprigionare i talenti”, condotto in collaborazione con IDC, vi è una correlazione diretta tra il successo aziendale e tutte quelle pratiche collaborative che mirano a incrementare il coinvolgimento dei dipendenti in azienda e che risultano davvero efficaci solo se incorporate come parte integrante della cultura aziendale.
Ma analizziamo la questione in modo scientifico!
La vostra è un’organizzazione felice?
Stephen Linstead e Heather Höpfl (2000), autori di “The Aesthetics of Organization,” suggeriscono che conferire qualità umane a un’organizzazione può fornirci informazioni preziose su alcuni dei problemi con cui potremmo scontrarci, in particolare per quanto riguarda l’ambito del talent management. Così, ad esempio, possiamo identificare come “belle” tutte quelle organizzazioni che sono armoniose e che hanno un grande appeal nei confronti dei candidati, mentre le “brutte” aziende sono di solito quelle più alienanti e false. Le classifiche delle aziende redatte periodicamente da diversi organismi sulla base di parametri “antropomorfi”, come ad esempio i “Best Place to Work” di Glassdoor, sono del resto indicative di questa sempre più diffusa tendenza a “umanizzare” le organizzazioni, cosa che ha dettato il successo di questo tipo di ranking che, con il tempo, si sono trasformati in importanti e autorevoli punti di riferimento per candidati reali e potenziali.
Passando a una visione antropomorfica delle organizzazioni, potremmo riuscire a diagnosticare meglio i punti in cui insorgono i problemi che portano alla fuga dei talenti e ideare, di conseguenza, delle soluzioni che accrescano le probabilità di trattenerli. Se ci pensiamo, nessuno ad esempio ha voglia di avere a che fare con persone arrabbiate, perché si tratta di persone negative, che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto. Ecco, anche un’azienda può talvolta essere “arrabbiata” e ciò avviene quando è permeata da una cultura di stanchezza e sarcasmo e, ovviamente, nessuno può aspettarsi che le persone siano contente di rimanere in un ambiente lavorativo di questo tipo. Un’azienda con simili connotazioni rischia, infatti, di allontanare i propri collaboratori migliori. Il risultato? Un alto tasso di turnover e un basso livello di engagement che rischiano di ripercuotersi, ahimé, negativamente sulle performance finanziarie dell’organizzazione.
Facciamo, dunque, un esercizio. Come descrivereste la vostra organizzazione? Quale parola riesce a rendere la personalità della vostra azienda? Noiosa? Felice? Gioiosa? Una volta trovata la parola che più la descrive, quale prova comportamentale (ricordate, stiamo antropomorfizzando l’organizzazione) potete addurre per confermare la vostra affermazione? Parliamo di politiche scorrette? In questo caso la vostra azienda è una brutta azienda perché priva di meritocrazia e caratterizzata da pratiche improprie, che lasciano poco spazio al reale riconoscimento di valori quali impegno e responsabilità. Questo è ciò che avviene, ad esempio, in tutte quelle aziende che non si preoccupano di creare al proprio interno un ambiente che sia rispettoso della piena parità di genere, come testimoniano i tantissimi report che stilano classifiche su classifiche relative alle percentuali di donne presenti in azienda o di donne manager che hanno raggiunto i vertici aziendali – di questo ne abbiamo parlato proprio poco tempo fa in uno dei nostri blog.
Ad ogni modo, qualunque comportamento caratterizzi la vostra cultura aziendale, ricordatevi che, proprio come accade con le persone, è sempre possibile fare qualcosa per migliorare i “tratti della personalità” che impediscono all’azienda di progredire e migliorarsi.
E’ una questione di cultura
Questi “tratti della personalità” trascendono dalla cultura organizzativa. Per cultura organizzativa si intende tutta quella serie di norme, convinzioni e valori che permangono nel tessuto di un’organizzazione. Alcuni di questi valori sono incorporati nelle policy e nelle procedure, mentre altri sono la conseguenza non intenzionale, e talvolta non preventivabile, di queste stesse policy, procedure e pratiche.
Edgar Schein, psicologo statunitense e grande esperto di cultura organizzativa, ritiene che esistano tre principali componenti nell’interpretazione della cultura organizzativa: artefatti, valori condivisi e assunti di base (Schein, 2010).
- Artefatti: processi e strutture organizzative visibili. Sono, quindi, i linguaggi e i comportamenti adottati dai membri di un'azienda, la tecnologia impiegata o l'ambiente fisico e sociale.
- Valori condivisi (dichiarati): strategie, obiettivi e filosofie dell’organizzazione; sono cioè la giustificazione delle azioni intraprese dall’azienda. Si tratta di tutte quelle convinzioni e opzioni a cui i membri di un'organizzazione fanno riferimento in modo automatico. Possono essere definiti in documenti, come gli statuti, o espressi in discorsi ufficiali e non ufficiali. Hanno l'obiettivo di consolidare il senso di appartenenza all'organizzazione e il consenso nei confronti della leadership organizzativa.
- Assunti di base: si tratta delle convinzioni inconsce, date per scontate. Corrispondono ai nostri pensieri e sentimenti, l’origine ultima delle nostre azioni. Sono radicati nella cultura organizzativa e per questo sono difficili da modificare.
In pratica
Una volta indossati questi occhiali, possiamo vedere chiaramente che avere un LMS (artefatto) non necessariamente rende un’organizzazione capace di migliorare il processo di apprendimento dei propri collaboratori (valore condiviso). Allo stesso modo un processo di valutazione delle performance (valore condiviso) non si traduce automaticamente in una struttura retributiva equa (assunto di base), così come le applicazioni di mobilità (artefatti) non rendono un’organizzazione agile (valore condiviso). Da qui, però, possiamo ricavare preziose indicazioni su come “fare meglio”.
Prendiamo, ad esempio, un’impresa media che vuole rinnovare il proprio processo di valutazione delle performance al fine di portare al proprio interno dei cambiamenti significativi: ciò può avvenire solo se valori condivisi e assunti di base sottostanti sono perfettamente allineati.
Partiamo dalla situazione corrente dell’azienda e supponiamo che il processo di valutazione delle performance è comprensivo di tutti i necessari form e asset (artefatti). Di sicuro qualche miglioramento è sempre possibile, quale processo del resto non è migliorabile? Poniamo, ad esempio, che la valutazione venga svolta una volta all’anno e che i manager che non la fanno vengono inseriti in un’ipotetica “lista dei cattivi”. Innanzitutto, tutti sappiamo che la lista (valore condiviso che porta all’assunto sottostante “essere nella lista non è una bella cosa”) è una cosa che tutti vedono. Inoltre, sappiamo che esservi inseriti è indice del fatto che il nostro capo evidenzia la nostra insubordinazione nei confronti dei processi di valutazione (forse un tantino esagerato, ma credo di avere reso l’idea!). Il risultato è che molti sono spinti ad adempiere al loro compito di fare le valutazioni perché motivati non dai vantaggi derivanti da una discussione produttiva con i propri collaboratori (valore condiviso), bensì dalla ferma volontà di non essere indicati in quella lista.
Il processo ha, inoltre, anche alcune conseguenze indesiderate. Poiché i manager non intendono impiegare più tempo di quello strettamente necessario, tutte le valutazioni risulteranno “neutre”, perché questo è molto più semplice e veloce rispetto al dover restituire feedback puntuali. Le conseguenze? I dipendenti che lavorano bene non hanno alcun riconoscimento e, allo stesso modo, i dipendenti che lavorano male passano del tutto inosservati. Così facendo, i primi sono portati a lasciare l’azienda perché non si sentono apprezzati, mentre i secondi rimangono e continuano a lavorare nello stesso modo dato che le loro basse o scarse performance sembrano non costituire un problema degno di nota per i manager.
Come risolvere, dunque, la questione?
Dobbiamo ovviamente rivedere cosa è importante. In questo caso, l’organizzazione vuole valorizzare i talenti e uscire da quel circolo vizioso che la porta a perdere i propri collaboratori migliori. Così, forse, connettere la “lista”, un valore condiviso, alla perdita di talenti - e non all’esecuzione di un processo di valutazione - può essere un buon inizio. Si tratta di semplici passaggi che ci consentono di trasformare la cultura organizzativa un passo per volta. Così, poiché le persone a un certo punto non vorranno più ritrovarsi nella famosa lista che sottolinea la loro responsabilità nella perdita dei talenti, inizieranno ad adottare tutte quelle pratiche definite dall’azienda stessa che impediscono di perdere validi talenti, come ad esempio attuare i corretti processi di valutazione delle performance.
Tre passaggi per modificare la personalità dell’azienda
- Identificare la personalità della vostra azienda e i relativi comportamenti. Eseguite l’esercizio sopra descritto. Qual è la parola che descrive la personalità della vostra organizzazione? Quali comportamenti osservate a conferma di questa impressione? Sono le policy, le procedure e le pratiche o piuttosto le conseguenze indesiderate di queste?
- Mappate questi comportamenti rispetto ai tre livelli di cultura organizzativa. Alcuni di questi comportamenti saranno mappati in relazione agli artefatti, come ad esempio le persone che se ne vanno presto (o tardi). Altri saranno mappati in relazione ai valori condivisi, come ad esempio non essere inclusi nella lista di cui sopra. Altri, infine, saranno assunti sottostanti, ad esempio ricevere un aumento di meno del 5% viene percepito dal dipendente come una mancanza di riconoscimento del proprio lavoro da parte dell’azienda.
- Tornate indietro e modificate gli assunti. Spesso si tende a partire dagli artefatti, ad esempio l’acquisto di un LMS, assumendo che diventeremo bravissimi a formare i nostri dipendenti. Dobbiamo, invece, comprendere gli assunti sottostanti e ridefinirli, in modo da trasformare la cultura che sta alla base.
Beh e poi non dimenticate che il buon esempio parte dall’alto! Perciò, se la personalità aziendale necessita di un cambiamento è il top management a dover rendersene conto per primo e agire di conseguenza per metterlo in atto.
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