Durante la pandemia, il peso della cura familiare e il venir meno delle reti di sostegno hanno portato a un peggioramento del già delicato work-life balance. E oggi a pagarne il prezzo più alto sono le donne, non solo in Italia
Si chiama She-cession, recessione al femminile: è questo il termine coniato dalla stampa anglosassone per indicare le conseguenze negative della crisi economica da Covid-19, soprattutto sulle donne lavoratrici. In questi due anni di pandemia sono loro che hanno dovuto raddoppiare gli sforzi e scegliere tra lavoro e famiglia. Non si tratta, però, di una dinamica solo italiana, ma di una questione globale: nonostante le donne siano il 39% della forza lavoro nel mondo, esse rappresentano il 54% dei posti di lavoro persi.
In Italia l’aumento delle disuguaglianze di genere sull’occupazione – disuguaglianza strutturale, visto che il tasso di occupati è oggi del 67,8% per gli uomini e del 49,5% per le donne – è certificato ormai ripetutamente dall’Istat, che ha registrato crescita zero per l’occupazione femminilea lo scorso ottobre 2021 (rispetto a settembre). Nell'anno dello scoppio della pandemia, il 2020, il tasso di disoccupazione femminile è sceso al 49%, dopo che nel 2019 aveva superato per la prima volta la soglia del 50% - mentre il divario rispetto a quello maschile è salito a 18,2 punti percentuali (contro il 17,9% del 2019). E soprattutto cala dopo sette anni di incrementi (nel 2013 si attestava al 46,5%). Penalizzate soprattutto le donne con figli e le lavoratrici part-time (per oltre il 60% di queste ultime, la riduzione dell'orario non è una scelta, e qui parliamo di quasi 2 milioni di lavoratrici). Rallenta anche la crescita delle imprese femminili, dopo un aumento costante dal 2014. Pochi progressi anche sul fronte dirigenziale: nel 2020 non vi è traccia di alcuna donna amministratore delegato nelle grandi aziende quotate nella Borsa italiana.
Questi dati sconfortanti sono emersi dal Bilancio di genere 2021 (riferito all’anno 2020), presentato in Parlamento dalla sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra. Come ha sottolineato la sottosegretaria Guerra, rispetto alle crisi precedenti, l'impatto di quella pandemica è stato particolarmente negativo sulle donne: si è tradotto non solo in una significativa perdita di posti di lavoro in settori dominati dalla presenza femminile, come il commercio e il turismo, ma anche in condizioni di lavoro peggiori, in una accresciuta fragilità economica e in un conflitto vita-lavoro ancora più aspro del passato.
Come invertire la rotta? L’opportunità nascosta della She-cession
La perdita di milioni di posti di lavoro tra le donne a causa della crisi Covid potrebbe, però, trasformarsi in un'opportunità e diventare l’occasione per avviare una nuova e necessaria fase di rilancio, attingendo dal ricco bacino della popolazione femminile, come ci ha spiegato qualche tempo fa Odile Robotti, fondatrice e CEO di Learning Edge, nel corso di un suo webinar. Secondo Odile, le aziende devono mettere in campo una strategia per intercettare i talenti femminili “dispersi” e sfruttarne il grande potenziale.
Come? Ecco alcuni semplici suggerimenti:
- Apprezzare e riconoscere esplicitamente il talento e la professionalità delle donne sul posto di lavoro
- Avviare processi di selezione del personale scevri da ogni pregiudizio di genere - e in questo la tecnologia e i software per il recruiting possono dare un grande contributo
- Curare l’onboarding con percorsi di formazione ad hoc - inclusi re-skilling e mentorship - anche grazie all’aiuto di strumenti e tecnologie appositamente sviluppate
- Valorizzare la maternità, non solo trattenendo le donne divenute madri, ma anche facilitandone il reinserimento nel mondo del lavoro
- Aiutare le donne a raggiungere il pieno potenziale, supportandole soprattutto nelle fasi di rientro a lavoro dopo un'assenza prolungat
- Assicurarsi che i dipartimenti HR garantiscano la parità di genere e promuovano la gender diversity all’interno della realtà aziendale.