A chi non è mai capitato di avere a che fare con manager attenti persino al più piccolo dettaglio e desiderosi di avere sempre tutto sotto controllo? Tutti prima o poi nella propria carriera professionale hanno incontrato delle figure di questo tipo, maestre nell’esercizio di quello che viene comunemente indicato come micromanagement - anche noto come microgestione.
Quest’attitudine a supervisionare in profondità ogni singolo compito assegnato a uno o più collaboratori, a richiedere continuamente feedback anche su attività a bassissimo valore aggiunto e a voler che tutti i propri collaboratori svolgano le attività assegnate in un certo modo è tutt’altro che benefica per l’ambiente di lavoro e la salute stessa di un’azienda. Fatta eccezione per i casi in cui ci si ritrova a dover gestire un collaboratore poco esperto o con poca maturità nel ruolo, questo stile di gestione finirà, infatti, col produrre frustrazioni nei collaboratori, soprattutto quelli più esperti che sono costretti a lavorare in un clima di sfiducia nei loro confronti senza poter esprimere liberamente il proprio potenziale.
Se da un lato, quest’attenzione maniacale al dettaglio illude il manager di avere il controllo assoluto su quanto ricade sotto la propria responsabilità, dall’altro demotiva i collaboratori e conduce progressivamente il team di lavoro al collasso. Ecco, dunque, che a lungo andare il perdurare di una microgestione si rivela inversamente proporzionale a produttività ed efficienza, oltre che causa di un esponenziale innalzamento dei livelli di stress di manager e supervisori.
Tra le caratteristiche principali di chi si fa promotore di questo stile di management vi è la tendenza al perfezionismo, insicurezza e una quasi totale mancanza di quella che viene definita intelligenza emotiva. Ma non solo. Il micromanagement può essere anche il riflesso di una cultura organizzativa saldamente gerarchica, che porta alle estreme conseguenze il bisogno del top management di perpetrare una struttura rigida, la necessità di regole particolarmente strette e di un tipico controllo top-down che guidi ogni processo e attività di business. Conflitti, de-motivazione, senso di frustrazione e di scarso apprezzamento per il lavoro svolto sono solo alcune delle cattive conseguenze generate da questo stile di gestione, i cui effetti, una volta innescati, sono difficilmente reversibili.
I rischi del micromanagement
1. Perdita di controllo
Il solo asso nella manica di un micromanager è il controllo costante sui propri collaboratori, ma l’aspetto paradossale è che quando l’esercizio sistematico del controllo diventa l’unico strumento di management e non si accompagna ad altra strategia di gestione dei team di lavoro si finisce con il perderlo completamente.
2. Perdita di fiducia
Il rischio più grande in un cui si incappa con il micromanagement è la perdita di fiducia da parte dei propri collaboratori che, a un certo punto, smetteranno di considerare il proprio capo/supervisore come un vero manager. Quando ciò avviene, le conseguenze più immediate sono un’importante calo della produttività e, nel peggiore degli scenari, una altrettanto significativa perdita dei collaboratori. La fiducia non è una strada a senso unico: per riceverla è necessario concederla e dimostrare di non averne nei propri collaboratori può solo sminuire l’autorità e la credibilità di un manager che si rispetti.
3. Elevati livelli di dipendenza e scarsa autonomia
Guidare i propri collaboratori passo passo nello svolgimento di qualsiasi attività significa abituarli alla guida costante di un micromanager, senza il cui supporto avranno la sensazione di non essere in grado di gestire alcun tipo di incombenza. Capacità, talento e competenze finiscono con l’essere oscurate da una figura onnipresente che trasforma i dipendenti in meri esecutori che non hanno la libertà di pensare con la propria testa né l’autonomia di agire secondo le proprie modalità. E ovviamente non è questo ciò che l’azienda si aspetta dai propri collaboratori. Ogni nuova assunzione ha il fine di portare all’interno dell’organizzazione il valore aggiunto che ogni singolo individuo dimostra di avere in fase di selezione. Soffocare le potenzialità dei propri collaboratori significa soffocare le reali possibilità di crescita dell’azienda.
4. Alto tasso di turnover
La maggior parte delle persone non ama essere oggetto di micromanagement. L’ego, l’insicurezza e l’inesperienza di chi spesso attua strategie di questo tipo nei confronti dei propri collaboratori difficilmente possono essere ridimensionati e, in molti casi, l’unico modo per non rimanerne vittima è abbandonare l’azienda. Ovviamente, un alto tasso di turnover è deleterio per l’organizzazione, che si vedrà continuamente costretta a rinnovare la propria forza lavoro, ricercare le figure più appropriate per ricoprire il ruolo rimasto vacante e formare costantemente nuovo personale con grande dispendio di tempo, risorse ed energia.
Come combatterlo?
Se questo tipo di gestione vi è familiare e state cercando una via d’uscita, l’unica strada possibile da seguire è parlarne in maniera aperta e sincera. Ovviamente non si deve arrivare allo scontro, ma bisogna essere onesti e flessibili e aiutare il proprio supervisore a comprendere cosa non vi permette di svolgere il vostro lavoro al meglio delle vostre potenzialità e in che cosa dovrebbe differire lo stile di gestione per risultare più stimolante e mettervi nelle condizioni di lavorare al meglio, spiegando, ad esempio, che maggiore fiducia e delega potrebbero essere il primo passo.
Se, invece, vi trovate dall’altra parte e siete voi ad attuare uno stile di gestione di questo tipo, ecco qui alcuni consigli che potrebbero tornarvi utili!
1.Riflettete sul vostro stile di gestione e interrogatevi sulla vostra necessità di avere tutto sotto controllo. Si tratta di insicurezza? Del timore che l’eventuale fallimento del vostro team nello svolgimento di una qualsiasi attività si ripercuota negativamente sul vostro lavoro e sulla vostra capacità di gestione? La consapevolezza del perché siete orientati verso il micromanagement è il primo passo per cambiare direzione.
2.Stabilite delle priorità. La differenza tra gestire e micro-gestire un team di lavoro sta nell’attenzione che un manager ripone sugli aspetti “micro”. Chiedetevi se davvero il vostro controllo su una determinata attività potrebbe portare valore aggiunto. Prima dell’avvio di ogni nuovo progetto, discutete con il vostro team quale dovrà essere il vostro livello di coinvolgimento, in quale caso e a che punto sarà necessario il vostro intervento. Individuate delle priorità e accertatevi che la vostra energia sia indirizzata solo verso quanto stabilito.
3. Focalizzatevi sul “cosa” e non sul “come”. Il vostro ruolo di manager prevede la condivisione degli obiettivi e delle aspettative sul risultato finale di una data attività. Dare istruzioni dettagliate sulle modalità in cui un dato risultato debba essere raggiunto potrebbe non sortire l’effetto desiderato. Piuttosto, qualora in dubbio, chiedete al vostro team come pensa di procedere. Potreste persino rimanere sorpresi dall’approccio prospettato che, per quanto diverso dal vostro, potrebbe portare a risultati ugualmente eccellenti.
4.Comunicate con il vostro team. Per comprendere quanto il vostro stile di gestione sia d’aiuto o d’intralcio al coinvolgimento e al miglioramento delle performance del vostro team chiedetelo esplicitamente ai vostri collaboratori. Fissate dei momenti di incontro e di discussione e prevedete delle sessioni di de-briefing al termine di ogni progetto per mettere sul tavolo cosa ha funzionato e cosa no.
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